L’esperto Andrea Cecon illustra le caratteristiche dello haibun, commistione di prosa e haiku.
Articolo precedentemente pubblicato sul blog cinquesettecinque.com e qui riproposto con il permesso dell’autore.
Il termine haibun (俳文, letteralmente “scritto haikai”) è stato utilizzato inizialmente dal poeta giapponese Matsuo Bashō nel XVII secolo. La prima comparsa del termine è datata 1690, ed è riportata in una lettera al suo discepolo Kyorai. Da certe opere di Bashō si può affermare che fu lui il primo scrittore di haibun: un nuovo genere che univa prosa e poesia, tra stilemi classici e materiali narrativi più popolari e vernacolari. Bashō scrisse la maggior parte dei suoi haibun come racconti di viaggio, il più famoso dei quali è Oku no hosomichi 奥の細道 (“L’angusto sentiero del Nord”, compreso nel volume tradotto in Italiano Il romitaggio della dimora illusoria). Oltre al racconto di viaggio, dello stesso Bashō si possono trovare anche altri componimenti più brevi, incentrati maggiormente su piccoli bozzetti di persone incontrate, descrizioni di paesaggi e diversi aneddoti.
Un altro passo importante nella sua esperienza haibun, è il libro tradotto con il titolo italiano di Elogio della quiete, che da certi cultori è classificato come un vero e proprio saggio.
L’esperienza dello haibun tradizionale di Bashō fu successivamente ripresa da altri poeti haikai come Yosa Buson, Kobayashi Issa e Masaoka Shiki.
Haibun in inglese
L’esperienza dello haibun non si è limitata al Giappone: negli ultimi anni è andata, infatti, affermandosi come un genere a sé stante nella letteratura mondiale.
Il primo concorso di haibun in lingua inglese ha avuto luogo nel 1996; organizzato da Michael
Dylan Welch, ha visto come giudici Tom Lynch e Cor Van den Heuvel. Anita Virgilio vinse il primo premio e David Cobb il secondo. Il concorso ha portato alla pubblicazione dell’antologia Wedge of Light, nel 1999.
Anche se nel corso degli anni sono sorte diverse scuole e gruppi di appassionati, la pratica dello haibun contemporaneo in lingua inglese è in continua evoluzione. In generale, lo haibun registra una scena o un momento particolare in modo altamente descrittivo e il più oggettivamente possibile. Più raramente, può interessare uno spazio del tutto immaginario ed onirico. La prosa, asciutta e concisa, si compone di uno o più paragrafi. Lo (o gli) haiku di accompagnamento deve (o devono) avere una relazione diretta ma sottile con la parte in prosa, quasi a suggerire una sorta di completamento all’intera narrazione.
Scrittori contemporanei di haibun includono Jim Kacian, Bruce Ross, Mark Nowak e Nobuyuki Yuasa.
Haibun in italiano
Purtroppo in italiano non si registrano esperienze significative nel campo dello haibun. Anche la ricerca di opere originali tradotte dal giapponese o dall’inglese risulta estremamente difficile. Di sicuro interesse sono i due volumi precedentemente citati, pubblicati dall’editore milanese SE e qui citati in nota. Di seguito, riporto due esempi di miei haibun scritti in Italiano seguendo la formula tradizionale del diario di viaggio.
Gagarin (2006)
Sasha, un amico della madre di Lera, ci accompagna in macchina da Kubinka all’aeroporto di Sheremetyevo. La strada attraversa sterminate foreste di conifere e scavalca una trafficatissima autostrada che scopro essere diretta a Riga, in Lettonia. Dopo l’autostrada, sulla destra, appare una monumentale costruzione in cemento: imponente, fantastica e orribile al tempo stesso.
Impressionato, domando che cosa sia. «Un monumento di epoca sovietica, dedicato alla grande guerra patriottica e alle sue vittime», mi viene risposto. Anni dopo non potei che concordare con le parole del filosofo Zygmunt Bauman, che definì il socialismo reale «il figlio più devoto e l’allievo più solerte della modernità solida». La Russia, e tutta la ex Unione Sovietica, sono piene di monumenti simili.
Poco prima di arrivare all’aeroporto, passiamo vicini ad un più modesto monumento dedicato alla cosmonautica sovietica.
Quand’ero bambino sognavo di diventare cosmonauta…tenendo in mano il globo mi immaginavo di guardarlo dall’oblò di una stazione orbitante: «Vedo la Terra, è azzurra e bellissima…» fino a che, occhi sulla Terra, non venni assalito da un pensiero cupo: se ci fosse stata una guerra nucleare tra le due superpotenze, questa si sarebbe combattuta senz’altro sui cieli del Artico: è la via più breve per uno scambio missilistico.
Yuri Gagarin –
un corvo sulla statua
s’alza in volo
Zurigo (2004)
Sulla via del ritorno dalla Germania, il treno si ferma a Zurigo, Svizzera, all’incirca ad ora di pranzo. La stazione è enorme e devo allontanarmi dai binari per trovare uno snack-bar e mangiare qualcosa.
Mi allontano serenamente, perché in ogni caso so che ho un po’ di tempo prima del treno per Milano. Poi prenderò quello per Padova, e poi…e poi cosa? Ho un momento di disorientamento e, ad essere onesto, non conosco la risposta.
Dopo mangiato salgo sul treno e, dal finestrino del mio scompartimento, vedo due amanti che si baciano appassionatamente sul binario pressoché vuoto. Lei forse è Svizzera, lui probabilmente è Italiano. Immagino che lui stia per prendere il mio stesso treno, ma ancora una volta non lo posso sapere…l’unica cosa che so è che, dove sto andando io, non ci sarà nessuno ad aspettarmi.
solo ai treni
un passero zampetta
tra le mie scarpe
Bibliografia
Haruo Shirane, Traces of Dreams: Landscape, Cultural Memory, and the Poetry of Bashō, Redwood City, Stanford University Press, 1998.
Makoto Ueda, Dew on the Grass: The Life and Poetry of Kobayashi Issa, Leida, Brill, 2004.
Andrea Cecon, Selected haibuns, Seattle, Amazon Media EU, 2013 (e-book).
Matsuo Bashō, Il romitaggio della dimora illusoria, Milano, SE, 2005.
Matsuo Bashō, Elogio della quiete, Milano, SE, 2001.
Immagine: Katsushika Hokusai, Ritratto di Bashō, XIX sec.